Perchè Km 0


Quello alimentare è il campo a cui tradizionalmente fa riferimento il concetto di chilometri zero, ovvero consumo locale: "zero" come i chilometri che il cibo dovrebbe percorrere dal campo alla tavola, eliminando tutti i passaggi intermedi – trasporto, imballaggio, stoccaggio, distribuzione – per essere inserito in una rete commerciale locale e sottratto al commercio globale.

Purtroppo però, nonostante la diffusione di questo modello di consumo la situazione è ancora pessima. Il problema sono le importazioni: il saldo commerciale italiano è del -35%, che vuol dire che i prodotti che provengono dall’estero sono di più e costano meno di quelli italiani. A livello europeo i dati sono confermati: la produzione ortofrutticola locale è diminuita del 15%, mentre quella globale è aumentata più o meno dello stesso valore. Il fatturato dell’export è cresciuto di 30 milioni di dollari, quello dell’import di 40 milioni, ben 10 in più (dati relativi al 2010). In Italia le importazioni di frutta e verdura hanno subito un incremento del 22% e si sono moltiplicati i casi di falsificazioni e mancata osservazione del DL 306/02, che stabilisce delle sanzioni per chi non fornisce sull’etichetta indicazioni sull’origine e sulle modalità di coltivazione dei prodotti.

I dati negativi del settore commerciale sono confermati da un’analisi di SG Marketing sulle abitudini dei consumatori. Se quasi tre quarti di essi hanno l’abitudine di consultare le etichette – sempre che le informazioni che vi sono riportare siano esaustive –, per poco più della metà (59%) l’origine del prodotto non comporta un criterio di scelta, e il dato è ancora più basso (39%) per i giovani. Ancora più preoccupante la statistica che conferma che il 60% dei distributori ritiene fondamentale dal punto di vista commerciale proporre frutta e verdura fuori stagione: fragole a gennaio e mele ad agosto.

Bassi prezzi e grandi quantità vuol dire utilizzo di chimica, importazione massiccia e spreco di grandi quantità di prodotto e costituirebbe un passo falso fatale per molti piccoli e medi produttori, soprattutto per quelli ancora legati a metodi di coltivazione naturali e biologici.

Sembra quindi che una delle armi che potrebbero rendere l’Italia competitiva sul mercato esterno e, soprattutto, pienamente sovrana nel mercato interno, venga usata poco e male. L’eccellenza e la tipicità dei prodotti nostrani servono non solo a fermare l’invasione di merci importate, spesso di scarsa qualità e sottoposte a pochi controlli, ma soprattutto a tutelare la nostra salute e salvaguardare i piccoli produttori locali. Oggi più che mai quindi, chilometro zero e filiera corta non devono essere solo degli slogan pubblicitari un po’ alternativi, ma delle scelte decise di consumo critico e consapevole.